venerdì 13 dicembre 2013

Il sogno palestinese, l'incubo israeliano. Due libri per capire



Partiamo da una situazione difficile, davvero difficile il cui astio, la cui guerra va avanti da anni.

Il caso ebreo-palestinese non è semplice da risolvere, soprattutto a causa di verità taciute, di discordie piazzate da grandi potenze che cercano di ricavare i propri interessi appoggiando un paese piuttosto che l’altro.
Tra i tanti libri che acquisto quasi ogni giorno, ce ne son due che esulano dal solito romanzo e riguardano la condizione arabo-israeliana , trattando della striscia di Gaza uno e del fanatismo religioso l’altro.
Mentre vagavo rapita nella libreria Mondadori del centro commerciale di Tor Vergata, incontro, nascosto in un angolo un titolo che attrae il mio interesse: Una bottiglia nel mare di Gaza.
L’autrice Valérie Zenatti nata a Nizza in una famiglia ebrea, è emigrata in Israele a tredici anni. All’età di 18 anni ha prestato il servizio militare, un obbligo per i giovani israeliani e poi è tornata in Francia. Ha fatto la giornalista e ora insegna ebraico.
Nel suo secondo libro (il primo si intitola Quand’ero soldato) ci sono due protagonisti. Una ragazza israeliana e un ragazzo musulmano.
O meglio una ragazza israeliana sognatrice, che spera, come la sua famiglia, nella pace tra i due popoli in perenne lotta e un ragazzo arrabbiato con il popolo invasore, un crudo realista che non crede nei sogni della ragazza, oppure non crede che nel popolo invasore possa esserci qualcuno disposto a credere alla chimera della pace, non più.
Pensare alla pace tra due popoli in lotta da ormai tempo immemore?Sembra una pazzia, invece è ciò che spera Tal Levine nata a Tel Aviv. Lei vive a Gerusalemme una città santa, una città che dovrebbe essere il fulcro della pace e invece è un ricettacolo di attentati.
Tra gli israeliani ci sono tante persone che sperano in una pace con i palestinesi, ma che credono anche che gli attentati siano esclusivamente opera degli stessi. C’è sempre un fondo di malafede nei confronti del popolo più avversato del mondo.
downloadTal ha un sogno e scrive un biglietto che arrotola in una bottiglia, sperando che una ragazza palestinese la raccolga e la legga, iniziando, magari, un’amicizia.
Chiede al fratello che andrà sul fronte della Striscia di Gaza (perché ad una certa età i ragazzi israeliani devono servire la patria) di lasciarla in spiaggia, sperando non legga il messaggio.
Chi risponde alle sue mail è un ragazzo arabo che si fa chiamare Bakbouk. La risposta non è gentile come Tal sperava, ma mano a mano il ragazzo si addolcisce, riesce anche a pensarla anche se prova a resistere. Si preoccupano a vicenda quando durante il periodo di scambio mail succedono degli attentati.
Si nota , anche se Tal e la sua famiglia e altri israeliani vogliono la pace, la prontezza di accusa nei confronti dei musulmani a qualsiasi attentato senza pensare che esistono i fanatici tra le fila israeliane che organizzano attentati perché contrari a una possibile pace.
Fanatismo ripreso e descritto da Amos Oz, nel libro Contro il fanatismo (scoperto per caso mentre scorrevo su un sito vari titoli letterari).
Effettivamente anche se c’è un’aspra critica nei confronti del proprio popolo, i due autori, entrambi israeliani, hanno una pendenza per il loro modo di pensare, che è il modo di pensare israeliano.
Capire davvero quello che accade in Palestina non è facile perché i mezzi di comunicazione non si occupano in modo approfondito del problema ignorando le radici complesse del conflitto, inoltre il tema dell’antisemitismo impedisce un’analisi razionale del mondo islamico senza notare le responsabilità politiche degli attori coinvolti: USA, Israele, Paesi Arabi, organizzazioni palestinesi.
Amos Oz pensa alle case lasciate obbligatoriamente dai palestinesi nel 1948, grazie alle dirigenze arabe o ai sionisti o a entrambi, case che sono state occupate dagli israeliani.9788807840425_quarta.jpg.312x468_q100_upscale I fanatici pensano che è giusto così, che è un loro diritto senza pensare alle famiglie che son rimaste senza casa.
Ne libro viene riportata una storiella. Un signore è seduto in un bar di Gerusalemme e inizia a parlare con una persona anziana vicino a lui. Salta fuori dopo un po’ che questa persona è Dio, dapprima il signore non ci crede, ma con alcuni indizi si convince e gli fa una domanda: “Caro Dio, per favore dimmi una volta per tutte, chi possiede la vera fede?I cattolici o i protestanti o forse gli ebrei o magari i musulmani?Chi possiede la vera fede?” Allora Dio, in questa storia risponde: “A dirti la verità, figlio mio, non sono religioso, non lo sono mai stato, la religione nemmeno m’interessa”.
Prendendo cum grano salis quello che dice Oz, “Israele non è un paese e nemmeno una nazione. E’ una feroce, schiamazzante collezione di argomentazioni, un perpetuo seminario di strada. Tutti discutono, tutti pensano di saperne di più. C’è una vena di anarchia non soltanto in Israele, ma credo piuttosto nel retaggio culturale dell’ebraismo.”
Praticamente tutti pensano di dire la cosa giusta e nessuno si preoccupa davvero di fare la cosa giusta, di pensare agli altri.
La soluzione di Amos Oz è il compromesso anche se questa parola gode di una pessima fama.
“Il contrario di compromesso è fanatismo, morte”.
Tra l’800 e il ’900, nel periodo in cui potenze straniere, in prima linea l’Inghilterra, decidevano le sorti della Palestina incoraggiando il movimento sionista a occuparla, questa terra era abitata (da millenni) da oltre seicentomila palestinesi.
Due libri per capire cosa spinge gli israeliani a combattere con dei nemici che vogliono solo vivere nel loro territorio.
Due libri che fanno vivere il dolore di gente comune di entrambi i popoli e che sottolineano l’atrocità del conflitto.
Due libri che spingono a occuparsi della questione arabo-israeliana, guardando davvero ciò che sta succedendo.


Articolo scritto per iltempolastoria.it

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